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Momenti di non trascurabile movimento

1 Febbraio 2019 AUCI 0 Comments

Da leggersi tutto d’un fiato.

Sono le 7.00, è da un’ora che sento Mimmo andare avanti e indietro sul selciato, è saturo. Sta organizzando il lavoro, rivedendo i conti, telefonando a destra e a manca. Siamo tutti in ambasce qui a Mafuiane perché, tra pochissimi giorni, ci sarà l’inaugurazione dell’ospedale appena costruito, con tanto di catering e taglio del nastro. Anche la Prima dama è in visita al villaggio in questi giorni e bisogna fare bella figura.

Decido di alzarmi, voglio dargli una mano. C’è un container colmo di attrezzi, mobili e altro, da svuotare.
Da giorni si lavora a pieno regime, ma non se ne vede la fine. Carichiamo il camion per trasportare il materiale verso la struttura, ma ogni volta che ci voltiamo a guardare questo sembra più pieno.

Tic – tac, il tempo corre, bisogna mettere le serrature alle porte, montare i letti, comprare le federe, sistemare i mobili per le stanze, scrivere la lista dei medicamenti, installare il sistema informatico, issare l’asta con la bandiera, impiantare l’aria condizionata nella farmacia, comprare il materiale per il laboratorio, organizzare la lavanderia e ripulire anche il patio esterno.

C’è chi la vuole cotta e chi la vuole cruda.

I non-problemi diventano problemi e i problemi diventano non-problemi.

Tic –Tac, fa pure caldo ci sono 35 gradi, ma percepiti sono 40.

Guardo l’ora, per fortuna sono quasi le 13:00, doña Inés ha preparato la matapa, un piatto tipico mozambicano a base di riso servito con una salsa di foglie di manioca, acqua di cocco e gamberetti; è ottimo, le chiedo di insegnarmelo, mi sorride e mi dice di si, ma solo se in cambio le insegno qualche dolce italiano…furba! Le
sorrido e le dico va bene.

 

Si torna al lavoro, ma Gino (nome di fantasia) instancabile lavoratore, si sente male, ha febbre e dolori, ha lavorato tutto il giorno sotto il sole, gli chiedo se ha mangiato, risponde di no (c’avrei giurato) ma non importa, potrebbe non essere quella la causa del malessere, lo portiamo al centro di salute più vicino. L’infermiera gli consegna i farmaci e noi lo accompagniamo a casa in jeep.
Per la cena ci si arrangia, in dispensa trovo polenta e un ragù di salsiccia al barolo, ringrazio di cuore i volontari che l’hanno a suo tempo portato, d’altronde è anche questa la cooperazione, no? Così mi metto a cucinare.
In cucina fa caldo, metto una virgola e ripeto: molto caldo. Almeno è buona. Siamo stanchi, andiamo a dormire. Saluto i topolini e le lucertolone che vivono nel controsoffitto della mia casetta, mi stendo sul letto, srotolo la zanzariera e mi addormento, contento di aver potuto contribuire un poquinho a tutto ciò, ma allo stesso tempo irritato perché si poteva fare meglio, ma va be’, ci pensiamo domani.

Adeusinho

di Andrea Scimone Carbone
Casco Bianco a Mafuiane, Mozambico